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 ©  Progressisti per Monfalcone

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Energie nuove per la città

Ora che la campagna elettorale è ufficialmente iniziata, quello che si chiedono gli elettori è che cosa possa offrire chi si propone come alternativa alla coalizione che guida oggi Monfalcone.

Per quanto riguarda il programma della coalizione uscente, infatti, l’attesa è che il candidato prosegua le politiche già in atto da quasi nove anni, senza deviare dalla linea disposta dalla precedente sindaca, attuale assessore ma di fatto colei che ancora oggi prende ogni decisione e che, in caso di vittoria, con ogni probabilità continuerebbe a farlo.

Cosa può dunque proporre, di alternativo, chi la pensa diversamente? La domanda non è da poco perché in un mondo dominato dai media, dove solo ciò che si manifesta in modo spettacolare viene notato, questa amministrazione ha prodotto un crescendo di effetti speciali che possono veramente trarre in inganno chi non ha la capacità o la voglia di un’analisi approfondita. Questa amministrazione ci ha infatti abituato a una narrazione magnificente, fatta di molti annunci ma anche di un’intensa attività edilizia, di continue inaugurazioni, di una presenza pervasiva su tutti i media, sui quali compariva la sin-daca e continua ad apparire l’assessora in tenuta operativa, elmetto in testa, onnipresente, a rappresentare una sindaca dinamica, sempre sul pezzo. E sempre pronta ad an-nunciare richieste, mozioni, interrogazioni al Governo, alla Regione, all’Europa, su tematiche di ogni genere. Difficile trovare un’amministrazione capace di dare un’immagine di maggior efficienza.

Eppure, la prima analisi che dovrebbe fare una persona prima di andare a votare dovrebbe essere: la mia qualità della vita in questi nove anni è migliorata? Vivibilità, fornitura di servizi, commercio, attenzione alle tematiche sociali, all’ambiente, alla salute, allo sport e all’associazionismo, rapporti con Fincantieri, cultura, scuola, inclusione, tensione abitativa sono effettivamente migliorati? A Monfalcone si vive meglio di come si viveva nove anni fa?

Per quanto riguarda le opere pubbliche, per le quali l’attuale Amministrazione ha attinto a fondi che si sono resi disponibili a partire dal 2016 con il superamento della cosiddetta spending review, sono stati aperti numerosi cantieri, alcuni dei quali sono stati anche completati, come p.e. la Piazza e una pista ciclabile. Ma c’è stata la demolizione completa di tre scuole, con i conseguenti disagi per la popolazione scolastica, per il cui completamento ci vorranno anni. Era indispensabile farlo in questo modo o si poteva pianificare meglio per diminuire i disagi? La grande ro-tonda davanti al porticciolo procede a rilento: invece di pensare alla spettacolarità degli eventi si poteva pianificare meglio?

Nel complesso, questa Giunta del “fare” ha perseguito un progetto armonico di sviluppo della città? Oppure si è impegnata in progetti a macchia di leopardo tanto per di-mostrare la capacità di impostare opere senza tenere conto del disagio dei cittadini? Tutti questi cantieri ci migliorano la vita?

Il problema della coesistenza di tante etnie presenti a Monfalcone è stato affrontato in maniera estrema-mente conflittuale, specie nei confronti di quella bangladese, con un ampio coinvolgi-mento della macchina della giustizia e tanta pubblicità a livello nazionale e internazionale. È stato un bene? Viviamo meglio adesso? Siamo contenti dell’immagine di Monfalcone in Italia e nel mondo? Ci riconosciamo in questo modo di fare, sentiamo che il mandato elettorale che ha avuto questa Giunta sia stato agito per il meglio?

Quello che questa amministrazione, o forse è più esatto dire questa (ex) sindaca, ha intrapreso è andato oltre la gestione di un Comune di 30.000 abitanti, perché ha profondamente politicizza-to il proprio mandato. Monfalcone è diventata un caso politico, da cui i politici di destra di tutta Italia hanno tratto spunto per una gestione conflittuale dei rap-porti con i cittadini che non sono originari del nostro Paese e con tutti coloro che ne difendo-no i diritti. Monfalcone è diventata un laboratorio di conflittualità e di rifiuto dell’inclusione a livello nazionale, con echi anche oltreconfine. È questo che viene chiesto a un sindaco?

Questa lotta insensata contro i cittadini non autoctoni produce benessere? La chiusura nei loro confronti ci fa del bene? Questa interpretazione arbitraria di usi e tradizioni, dove tutto deve essere “identitario”, ci trova d’accordo? Credo che a queste domande la maggior parte dei monfalconesi avrebbe difficoltà a rispondere di sì. Questi cittadini però devono sapere che, se non sono d’accordo con questo modo di governare la città, devono esprimerlo nell’unica maniera possibile, e cioè andando a votare, altrimenti il loro dissenso rimarrà lettera morta.

Poi ci sono i cittadini che credono ferma-mente che questa Giunta abbia fatto bene. A loro non si può chiedere altro che riflettere su quanto di questo “bene” sia a loro vantaggio e quanto invece a esclusivo vantaggio della politica, o di qualche partito.

Infine ci saranno quelli che diranno “Sì, io non sono completa-mente d’accordo con quello che hanno fatto, ma almeno...”. Ecco, sulla logica dell’“almeno” vorrei fare qualche riflessione. Magari la prossima volta.  

Massimo Bulli

È il momento di crederci davvero

In questi ultimi giorni percepiamo in città un’energia nuova. La sentiamo nelle strade, nei bar, nelle conversazioni tra amici e colleghi. Forse nasce dalla consapevolezza che questa volta non possiamo davvero stare a guardare, che il cambiamento non arriva da solo, ma va costruito, voluto: Monfalcone è arrivata a un bivio e ora tocca a noi decidere in che direzione andare.

Per troppo tempo in molti si sono sentiti solo spettatori di una politica fatta di proclami e di scenografie a effetto. Abbiamo visto la nostra città ricoprirsi delle macerie di uno scontro continuo e stomachevole, di un laboratorio di esperimenti politici che poco o nulla hanno a che fare con la vita reale delle persone. Abbiamo assistito a una narrazione asfissiante che parla di grandi risultati, di svolte epocali, di successi senza precedenti. Ma poi, guardandoci attorno, la domanda che in molti si fanno è sempre la stessa: ma a Monfalcone, alla fine, si sta meglio o siamo solo vittime di una grande allucinazione indotta da chi ci governa?

Ecco, questa è la vera questione. E questa è la domanda a cui dobbiamo rispondere prima di entrare nella cabina elettorale. Perché la politica dovrebbe essere proprio questo: uno strumento per migliorare la vita delle persone. E se ciò non accade, allora bisogna urgentemente cambiare strada.

In questi anni abbiamo imparato che è fin troppo facile riempire social e stampa di annunci, mentre è alquanto difficile costruire soluzioni concrete e funzionali al benessere dei cittadini. Ed è anche piuttosto facile (specie a Monfalcone) individuare un nemico per distogliere l’attenzione dai problemi reali, essendo molto più complicato affrontarli con responsabilità.

Proprio mentre scriviamo questo numero, Monfalcone è scossa da un episodio di violenza che ci lascia senza parole. Un fatto grave, da condannare con fermezza, che impone riflessione e serietà. E invece, ancora una volta, la destra si è gettata sulla notizia come un avvoltoio, trasformandola in un ulteriore strumento di propaganda col solo fine di alimentare odio e divisioni e consolidare il proprio consenso.

Una strategia vista troppe volte: ogni problema diventa un pretesto per gridare al pericolo, per creare allarme, per puntare il dito contro qualcuno. Ma la verità è che chi urla “sicurezza” da anni è lo stesso che oggi si trova a dover giustificare il fallimento di questa politica fatta di telecamere, cancelli, controlli e taser. È questa la città più sicura che ci avevano promesso? È questa la loro idea di ordine e decoro? È questo il modo di garantire un livello di convivenza degno di un’operosa cittadina di trentamila abitanti qual è Monfalcone?

Se la risposta è sì, allora è evidente che qualcosa non funziona. Perché la sicurezza non si ottiene con gli slogan, ma con politiche sociali ed economiche capaci di prevenire il disagio, con investimenti nell’integrazione e nella convivenza, con un’amministrazione che non cerca il nemico ma soluzioni.

Siamo di fronte a una classe politica che governa da nove anni e si comporta ancora come se fosse all’opposizione, come se non avesse alcuna responsabilità su quello che accade. Sempre pronta a incolpare un gruppo di cittadini oppure chi governava due lustri fa, ma mai disposta a ipotizzare di aver commesso qualche errore.

Monfalcone merita di più. Merita un’amministrazione che lavori per risolvere i problemi, non per cavalcarli. E che si occupi anche di sicurezza, ma non come fosse uno strumento di una campagna elettorale permanente.

Un’ultima considerazione. Troppo spesso, noi elettori di sinistra, pensiamo che le cose non possano cambiare, che il nostro voto sia una goccia nell’oceano e che le destre siano troppo forti da battere. Ma la verità è che il cambiamento inizia proprio da noi: da un segno sulla scheda elettorale; dalla fiducia nel fatto che Monfalcone possa essere diversa e migliore proprio grazie al nostro impegno e al nostro voto.

È tempo di prendere coscienza che abbiamo la possibilità di costruire una città in cui le persone tornino a sentirsi parte di una comunità, in cui il futuro non sia un’idea vaga e fumosa ma un progetto concreto. Una città che non venga raccontata per le sue polemiche e le sue divisioni, ma per le opportunità che offre, per la qualità della vita, per l’attenzione ai bisogni di chi la abita.

Non possiamo lasciare che tutto questo ci sfugga tra le dita per disillusione e per sfiducia. Non questa volta. Questa volta dobbiamo essere presenti, dobbiamo far sentire la nostra voce, dimostrare che Monfalcone non è solo una casella di passaggio per le ambizioni di qualcuno, ma un luogo vivo, fatto di persone vere, di famiglie, di giovani che sognano un domani migliore, di lavoratori che vogliono essere rispettati, di anziani che meritano attenzione e cura; una città che si occupa dei suoi cittadini, di tutti i suoi cittadini.

Quella del prossimo aprile non è una tornata elettorale qualsiasi, è una scelta che riguarda tutti noi.

Monfalcone non ha bisogno di chi urla, di chi semina odio per raccogliere voti. Ha bisogno di una politica seria, capace di unire. Questa politica è possibile ed è rappresentata dalla coalizione di centrosinistra e da noi Progressisti che abbiamo scelto di stare dalla parte delle persone, di ascoltare, di proporre, di costruire.

Andiamo a votare con la consapevolezza che ogni scheda nell’urna non è solo un pezzo di carta, ma un tassello di futuro, perché il cambiamento non arriva da solo, ma va costruito tutti insieme.

Monfalcone può davvero voltare pagina. Facciamolo.